Intervista al Fu Mattia Pascal

Scritto da il Settembre 30, 2024

– Consideravi la tua famiglia un nido. Che rapporto avevi in realtà con i tuoi familiari?

La famiglia, un nido? Per me è stata più una trappola che un rifugio. Con mia moglie Romilda e la suocera Marianna, il rapporto è stato soffocante e pieno di tensioni. Era insostenibile, non vi era più amore, ma solo obblighi, litigi e disprezzo reciproco. Mio fratello Berto, un’ulteriore fonte di distacco e incomprensione. La mia unica vera alleata, mia madre, è morta lasciandomi solo. In definitiva, la famiglia è stata un luogo di sofferenza, e non posso dire di aver mai sentito un calore simile a quello di un nido.

– Durante la tua vita hai avuto problemi a rapportarti con te stesso, la tua anima e il tuo corpo. Da dove vengono queste crisi? Com’è hai deciso di raddoppiare le tue azioni?

Le mie crisi di identità derivano dall’insoddisfazione e dall’oppressione della mia vita precedente. Mi sentivo intrappolato in una vita che non avevo scelto e cercavo disperatamente una via di fuga. La decisione di assumere una nuova identità come Adriano Meis fu un tentativo di liberarmi delle catene sociali e personali. Tuttavia, anche questa nuova vita si rivelò insostenibile, portandomi a una continua duplicazione delle mie azioni e situazioni. In fondo, ero alla ricerca di me stesso, ma scoprì che non è possibile sfuggire al proprio essere.

– Hai preso coscienza che, per rapportarsi con la società, c’è bisogna indossare una “maschera”. Perché hai negato questa maschera, consapevole dell’impossibilità di avere un’identità? 

Ho negato la maschera perché volevo essere libero da ogni finzione e illusione. Desideravo vivere autenticamente, senza le costrizioni e le aspettative che la società impone. Tuttavia, ho scoperto che l’identità stessa è una maschera inevitabile, una maschera nuda; non possiamo mai essere completamente liberi dalle convenzioni sociali. La mia ribellione contro la maschera è stata un tentativo di affermare la mia individualità, ma alla fine ho compreso che senza di essa, è impossibile rapportarsi con il mondo. Perciò, mi sono limitato a guardare gli altri vivere.

– Ti sei adattato alla vita con l’intettitudine. Come ti sei adeguato alla vita, essendone ormai estraneo?

Mi sono adattato alla vita accettando la mia condizione di estraneo con una sorta di rassegnazione. Ho imparato a vivere ai margini, osservando senza partecipare pienamente. La mia indifferenza è diventata uno scudo, un modo per proteggermi dall’assurdità e dalla sofferenza della mia esistenza. Essendo ormai estraneo, ho trovato una certa pace nell’accettare la mia impotenza e nell’abbandonarmi al flusso degli eventi, senza più cercare di cambiarli.


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