Siccità: il racconto di una società inconsapevolmente assetata
Scritto da Irene Raponi il Ottobre 23, 2022
Per la terza serata del Monterotondo Film Festival, il regista Paolo Virzì condivide con un gremito CineMancini la sua preghiera di amore e consolazione per un’umanità inaridita.
Dopo il successo delle prime due serate del Monterotondo Film Festival, lo scorso 17 ottobre, il CineMancini ha visto un enorme pubblico in sala per assistere alla proiezione di “Siccità”, l’ultimo film di Paolo Virzì, e per partecipare all’incontro con il regista. Il film presenta uno scenario quasi distopico, una Roma dove l’acqua manca ormai da anni, dove una parte della popolazione vive rispettando restrizioni estreme per il consumo di acqua mentre una parte privilegiata continua ad abusarne.
Il film segue le vicende di un gruppo di personaggi all’apparenza estremamente diversi tra di loro ma che vivono tutti la stessa aridità. Dal ragazzo attivista che sembra non riconoscersi nel mondo e negli adulti che lo circondano, alla donna che vive una crisi matrimoniale e cerca rifugio nel passato, ad un carcerato che teme cosa lo aspetta fuori, alla cinica dottoressa che vive il trauma di un amore finito.
Perché si, Roma è senza acqua ma come sottolineato da Virzì, è una siccità affettiva ed emotiva quella che attanaglia i personaggi. Il racconto di una città in difficoltà assume un carattere universale. Proprio per questo la scelta del regista di ambientare il film a Roma, che non solo deve parte della sua gloriosa storia alla capacità di convogliare l’acqua ma “è la città del potere politico e mediatico. Dal momento che volevamo fare un film sulla nostra società contemporanea, sul sentimento del nostro Paese, sul collasso di una società, prendere di petto la sua Capitale con il suo monumentale passato e raccontarla in un presente di grande difficoltà, ci sembrava significativo”, ha raccontato Virzì ai microfoni della FrammaRadioWeb.
La grande incapacità di Roma, nonostante il suo passato, di avere acqua è la rappresentazione estrema dell’incapacità e delle difficoltà universali che sta affrontando la società descritta da Virzì e che forse non si rende conto del paradosso.
La coralità di questo film vuole quindi descrivere un’umanità quasi derelitta, che non è inventata e costruita per il grande schermo, ma è proprio quella di cui facciamo parte. Il regista alla nostra domanda su cosa volesse dirci a gran voce il film ha risposto sorridendo:
“Tante cose, come sempre nei film. Ma ha tanto da dirci, in particolare, sulle persone, sulle relazioni, su cosa siamo diventati, su questa incapacità di volerci bene. Volevamo fare il punto della situazione in un momento della nostra storia anche un po’ difficile, dove ci sono grandi dubbi sul futuro, dove veniamo da due anni di restrizioni, di allarme sanitario, a cui si sommano altri allarmi, ambientali in primo luogo. Però allo stesso tempo provare non tanto a riferire la cronaca di questioni esterne quanto l’interiorità delle persone, l’affettività, i rapporti, lo stato delle cose umane”.
Il film di Virzì non è però abitato da uno spirito di rassegnazione. La pioggia tanto agognata può sì, essere una specie di diluvio universale pronto a spazzare via l’umanità corrotta, ma vuole anche essere una fonte di speranza. Il regista ha definito questa pellicola come una sorta di preghiera per la salvezza, per questa umanità derelitta che vive ancora il profondo desiderio di amore e consolazione. La pioggia trasmette un senso di inquietudine, ma in qualche modo sembra purificare, portando redenzione. Virzì racconta le storie dei suoi personaggi “come gesto di speranza nell’umano, mostrando loro tenerezza nonostante l’empietà”, ha concluso durante l’incontro dopo il film.
E se la siccità ha inaridito le relazioni, la pioggia alla fine della pellicola riporta invece insieme tutti i personaggi, collegandoli in maniera quasi brutale. La coralità vuole essere un monito di questo collegamento sorprendente, ricordandoci, come detto da Virzì, della “salvezza nella possibilità per ciascuna solitudine di connettersi con l’altro”. Non sappiamo che fine faranno i personaggi, cosa questa connessione significherà per loro, però sappiamo per certo che avendola sperimentata non potranno fuggire dallo sconvolgimento ma anche dalla salvezza portata da quell’acqua.
Di Irene Raponi
A cura della Redazione